L’epidemia di ebola in Africa occidentale allarma i microbiologi italiani: attivare controlli anche in Italia. L’Oms sta a guardare…
L’Organizzazione Mondiale della Sanità certifica l’espansione dell’epidemia, ma tarda ad attivare l’allarme internazionale. Prudenza diplomatica vs realismo nella prevenzione. Servirebbe un controllo severo delle frontiere e dell’immigrazione, perché il pericolo si può espandere in un battibaleno, ma certe vestali dell’inconcludenza non lo consentono. Per loro siamo tutti razzisti…
Ginevra – Secondo Keiji Fukuda, vice direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’epidemia di ebola in corso in Africa Occidentale è la più spaventosa della storia, ossia tra le più difficili da affrontare da quando la malattia, circa quarant’anni fa, apparve per la prima volta. “È uno dei focolai di Ebola più difficili che abbiamo mai affrontato“, ha spiegato Fukuda.
C’è discordanza nel computo dei morti: alcune fonti citano 11 decessi a causa del virus, altre 95 da gennaio, anche se il rapporto di causalità diretto sarebbe stato accertato in 52 casi (ne abbiamo parlato già qui). Il dato su cui sembra esserci concordanza è che l’epidemia è in espansione. In totale, come vedremo, quasi 170 casi sono stati acclarati dalle strutture medico-assistenziali di Guinea e Liberia.
Cominciata a Conakry, in Guinea, si è già estesa alla Liberia e ci sono vari focolai: tre “punti caldi” sono in Guinea Forestiere, una regione distante circa 900km a sud della capitale Conakry, una città dove sono già stati registrati una ventina di casi.
Il periodo di incubazione del virus è tra i due e i 21 giorni, tempo estremamente breve che però, oggi, non mette al riparo l’Occidente dall’eventualità di un contagio: un viaggiatore in pochissimo tempo può passare da Conakry (centro dell’epidemia) a una capitale europea.
Il 25 marzo scorso a Saskatoon, una città del Canada centrale, un uomo che di recente era stato per lavoro in Liberia è stato ricoverato in ospedale con i sintomi della febbre emorragica. Souad Sbai, ex parlamentare del PDL e animatrice e presidente di Acmid Donna – l’associazione delle donne marocchine in Italia – ha ammonito sul silenzio mediatico che ha circondato la vicenda (ne abbiamo scritto qui).
Il 4 aprile scorso, un volo dell’Air France proveniente dalla Guinea è stato bloccato per due ore, dopo l’arrivo all’aeroporto di Orly “Charles de Gaulle”, per il timore che tra i passeggeri ci fosse una persona affetta dal virus dell’ebola (ne abbiamo parlato qui).
Oggi i microbiologi dell’AMCLI – l’Associazione Microbiologi Clinici Italiani – hanno lanciato un appello: “Sarebbe bene che anche l’Italia iniziasse ad attivare misure di attenzione negli aeroporti e nei centri di prima accoglienza” alla luce dell’epidemia di Ebola in corso in Guinea. Gli scienziati hanno ricordato come il codice rosso sia già scattato negli aeroporti europei di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona, principali scali dei voli provenienti dall’Africa.
“Questa è la vera novità rispetto ai passati 40 anni di piccole epidemie – ha spiegato Pierangelo Clerici, Presidente Amcli – purtroppo questa volta il virus non si è fermato ai villaggi rurali, ma ha iniziato a diffondersi in un grande centro urbano dove vivono due milioni di persone e si tratta del ceppo più aggressivo (ceppo Zaire). L’isolamento dei casi non basta, è fondamentale tracciare la catena di trasmissione“.
L’Oms comunque per ora non raccomanda restrizioni di viaggio né in Guinea, dove il contagio è apparso il 22 marzo e sono stati registrati 157 casi, 101 vittime e 67 casi sono stati confermati dai test di laboratorio; né in Liberia, confinante, dove sono stati accertati 21 casi, 10 sono morti, e i casi confermati sono 5.
Per ora, gli altri casi sospetti nella regione si sono rivelati tutti falsi allarmi. “Ci aspettiamo che saremo impegnati con questa epidemia per i prossimi due, tre, quattro mesi, prima di stare tranquilli“, ha però aggiunto Fukuda. La pericolosità dell’ebola è che si tratta di una malattia altamente contagiosa, incurabile, e con tassi di mortalità vicini al 90 per cento (anche se per ora la percentuale dei pazienti che si sono contagiati e che sono morti è attorno al 65 per cento).
Il contagio avviene mediante contatto diretto con il sangue o con fluidi e tessuti corporali delle persone e animali contagiati. A complicare il controllo dell’attuale epidemia, il fatto che il virus sia comparso in Africa Occidentale, una zona dove era sconosciuto finora. Ne consegue – ha spiegato Fukuda – che tra i medici e tra le autorità locali c’è confusione su come trattare e affrontare l’epidemia, forse anche per una relativa debolezza del sistema di prevenzione sanitaria.
In Guinea comunque l’Oms ha inviato una missione di 50 esperti, tra i quali vari medici di Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Gabon, Paesi che invece sanno bene come affrontare l’ebola. L’Oms è preoccupato dal fatto che l’epidemia sia arrivata nella capitale della Guinea, Conakry, dove i contatti tra le persone sono molto assidui e avvengono anche tra sconosciuti, circostanza che rende difficile effettuare un tracciamento a ritroso del “percorso” del virus.
Finora, la peggiore epidemia di ebola fu quella in Uganda, nel 2000, quando morirono 425 persone. Visto il periodo di incubazione del virus (tra due e 21 giorni), l’Oms potrà parlare di controllo dell’epidemia quando saranno trascorsi 42 giorni senza che sia stato individuato alcun nuovo caso.
Uno scenario che per ora non sembra vicino e che renderebbe necessario un rigido controllo delle frontiere, per prevenire l’ingresso sul territorio europeo di persone ammalate – soprattutto inconsapevoli di esserlo – in quella massa di immigrati disperati che attraversano il Mediterraneo per trovare uno spazio di vita migliore.
Tuttavia, affermare che è necessario controllare le frontiere significa esporsi alle critiche dei menti auliche e benpensanti – soprattutto di sinistra – che prendono per razzismo la semplice attenzione per la sicurezza e la prevenzione.
Seguendo certe “menti”, bisognerebbe lasciare aperte le frontiere a ogni tipo di afflusso. In una situazione come questa, l’Oms si dimena tra prudenza diplomatica e un “monitoraggio preoccupato” (le virgolette sono nostre), che potrebbe trasformarsi in allarme generale da un momento all’altro. Ammesso e non concesso che si trovi qualcuno in gradi di assumersi la responsabilità di dire “pane al pane”, “vino al vino”.
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