Renzi all’Eliseo e alla Sorbona: una figura barbina. Italia zimbello dell’Occidente
Il presidente del Consiglio ha confermato che l’appoggio dell’Italia alla Coalizione contro i jihadisti punta al puro vaniloquio. “Coalizione ampia per distruggere l’Isis”, ma a colpi di cultura. Il ‘Time’ ci mette alla berlina…
Parigi – La visita di ieri mattina del presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, all’Eliseo avrebbe potuto essere un’occasione per recuperare terreno e risalire il crinale inclinato verso l’ignominia su cui il Governo sembrava aver incanalato l’Italia, troppo silente verso l’avocazione dell’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona consolidato, che impone la solidarietà europea in caso di aggressione armata verso uno dei Paesi dell’Unione.
Invece, l’occasione non solo è stata persa,ma è stata perfino trasformata in una ulteriore occasione per fare emergere una drammatica crisi di leadership in Italia, con dichiarazioni di principio ma vuote di contenuto; un richiamo alla cooperazione politica e diplomatica, solo un accenno agli aspetti militari, peraltro con un profilo basso.
Renzi infatti durante la conferenza stampa congiunta con François Hollande ha affermato che contro lo Stato islamico “c’è la necessità di uno sforzo sempre più inclusivo, di una coalizione sempre più ampia per arrivare alla distruzione dell’Isis e del disegno atroce e allucinante che esso rappresenta“, ha ricordato, prima di chiarire che l’Italia “conferma i propri impegni a fianco dell’Unione Europea e della Francia dal punto di vista diplomatico” e che Roma guarda “con grande interesse al processo di Vienna“. A tal proposito, il presidente del Consiglio ha ribadito che il Paese è impegnato in questo sforzo diplomatico, “perché la finestra di opportunità possa allargarsi alla Libia“, avvertendo che è “fondamentale dare priorità assoluta al dossier Libia“, che “rischia di essere la prossima emergenza“.
Sulla cooperazione militare, Renzi è stato vago, ma roboante. Pur ribadendo l’impegno “anche con la Francia, come in Libano, ma anche in tutti i settori contro lo Stato Islamico, in Iraq e in Siria, ma anche in Kosovo e in Africa”. Una macedonia indistinta, su cui però si è elevata la perla dell’arma strategica da utilizzare contro il terrorismo: la cultura.
Il Time ha titolato: “Il Primo Ministro italiano vuole combattere il terrorismo dando ai giovani 500 Euro da spendere in cultura“, un titolo che è già pesante, ma che viene completato dal primo periodo caustico e, insieme, esaustivo: “Il primo ministro italiano Matteo Renzi ha trovato una nuova arma per combattere il terrorismo in Europa, sulla scia degli attentati di Parigi all’inizio di questo mese: la cultura“.
Renzi infatti ha ribadito – senza vergogna – un concetto già espresso in Italia e già assunto come verbo dai vari esponenti del PD in giro per trasmissioni televisive. “Noi pensiamo che ci sia bisogno di una risposta culturale, che la Francia e l’Italia in primis possono dare, perché apparteniamo a due grandi nazioni con due grandi storie, con due grandi responsabilità”, ha detto il ‘premier’ italiano. “Il nostro passato mette le vertigini, ma questo passato richiede che noi possiamo costruire un futuro. Vale per le nostre scuole, vale per i nostri giovani, vale per i nostri luoghi di cultura”, ha spiegato (o almeno a provato a spiegare).
Poi, rivolgendosi al presidente Hollande, ha continuato ricordando di aver già rilevato “come fosse drammatico il fatto che si colpissero degli obiettivi quotidiani, come un teatro, un luogo di musica, più ristoranti, uno stadio“, un’auto-dichiarazione di incompetenza, visto che il terrorismo jihadista ha già colpito varie volte dal 2001 in questo modo barbaro e mirato a obiettivi civili.
“Si è cercato di colpire l’idea stessa di ciò che noi siamo, l’identità, la cultura francese ed europea”, ha continuato Renzi, che ha ribadito come l’Italia si sente impegnata “esattamente come lo siamo a livello diplomatico, esattamente come lo siamo a livello militare, per affermare che i nostri valori sono molto più forti della loro barbarie“. Infine Renzi ha sottolineato la necessità che al vertice di domenica prossima a Bruxelles – dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea e della Turchia – si arrivi a “un accordo globale” sulla crisi dei rifugiati.
Parole vuote, retoriche, senza costrutto. Un vuoto pneumatico che fa scivolare l’Italia in una posizione di marginalità politica e militare, di fatto declassando il Paese. Una posizione che mortifica il Paese che fu fondatore del processo di integrazione europea, ma anche Stato fondatore della NATO per espressa volontà della Francia post-bellica, che cancellò dalla memoria il tradimento del 10 Giugno 1940 e la dichiarazione di guerra di Mussolini.
Il presidente del Consiglio è poi intervenuto all’Università Sorbona di Parigi, dove si stava specializzando Valeria Solesin, la giovane italiana morta nell’attacco jihadista del 13 novembre. “La lezione dura che possiamo imparare dagli attentati di Parigi è che tutti i Paesi europei devono mettere in comune le risorse per fronteggiare la minaccia terroristica, anche se questo può essere vissuto come un sacrificio della sovranità nazionale“, ha detto Renzi. In particolare, “bisogna condividere i database” dei servizi di sicurezza e “tutti i mezzi per combattere il terrorismo”.
Renzi – non avendo alcuna preparazione storica, politologica e giuridica – ignora che per compiere un sacrificio della sovranità nazionale in materia militare e di sicurezza interna occorre elevare le istituzioni comuni europee al livello federale, un’evoluzione attuabile solo attraverso un processo di costituzionalizzazione, che implichi la partecipazione del popolo degli Stati europei, in cui risiede la sovranità nazionale europea.
A parte però le deficienze di Renzi in materia costituzionale, alla Sorbona il ‘premier’ ha ribadito poi che “bisogna fare capire a coloro che sono affascinati dall’ideologia terrorista che non c’è appoggio possibile, nessuna complicità, nessuna solidarietà. È per questo motivo che è necessaria la reazione delle comunità islamiche europee agli eventi di Parigi, con una condanna senza ambiguità degli attentati. La lotta al terrorismo non ammette defezioni“, ha scandito il presidente del Consiglio. Tono perentorio per azione imbelle, l’armamentario necessario a diventare lo zimbello del mondo libero, una posizione che mette in pericolo il residuo di credibilità del Paese.
Peccato che questa reazione delle comunità islamiche europee non vi sia stata, non vi sia e dubitiamo vi sarà in futuro, al netto delle posizioni individuali di persone perbene di fede musulmana per le quali però rileva non già la religione, ma il rifiuto di essere portatori di un’ideologia di morte che contraddice la magnificenza di Dio e la libertà che Nostro Signore ha donato a ciascuna persona.
Come ha osservato Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nella dinamica di reazione all’attacco militare jihadista all’Europa c’è anche una ‘partita interna’, in cui l’Italia rischia di perdere una posizione centrale – come finora è nella tradizione della partecipazione della vita delle istituzioni comunitarie fin dall’avvio del processo europeo.
Finora, ha rilevato Parsi all’AdnKronos, l’Italia “ha assunto una posizione un po’ anodina, senza rendersi conto che a volte bisogna fare cose che non piacciono ma che restano necessarie”. Si sta formando all’interno dell’Europa “una gerarchia da cui noi siamo esclusi“. E da cui saremo esclusi se continuiamo a escludere l’opzione militare, che “sarebbe un errore strategico che rischia di vanificare tutto quello fatto fino adesso per elevare la credibilità internazionale del Paese attraverso la partecipazione alle missioni militari internazionali“.
“Il problema non sono i prossimi sei mesi“, ha spiegato Parsi, ribadendo che il tema è “se vogliamo vivere i prossimi 15 anni con la minaccia dell’Isis sulle nostre teste”. Di conseguenza, “l’alternativa da considerare è tra vedere Bruxelles blindata oppure andare a stanare l’avversario dove è ed eliminarlo”.
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