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Indice degli articoli
Gli editoriali del direttore
Tra suggestioni e analisi politica: la partitocrazia non demorde
Il fisco oppressivo frena l'economia italiana
Se Federica Pellegrini o la Ferrari gareggiassero con regole punitive
Riforme istituzionali e la nuova legge elettorale per distruggere l'Italia.
In difesa (parziale) di Massimo Calearo.
di John Horsemoon
Articolo pubblicato il 2.04.2012 h 15.00
Tag: Italia, III Repubblica francese, partitocrazia, bipolarimo, fisco, de Gaulle, assemblearismo, clientelismo, corruzione, inefficienza
Roma. Federica Pellegrini ha dichiarato che sarà costretta a emigrare per poter competere con chance di vittoria internazionale. La Svizzera le apre le porte. La nuotatrice veneta reagisce alla decisione della Federazione Italiana Nuoto che ha imposto costumi in cotone alle atlete nazionali. Il peso maggiore del costume non le consentirebbe di gareggiare con le altre nuotartici. "Emigro perché voglio vincere nel nuoto" ha detto la Pellegrini.
Modena. Luca Cordero di Montezemolo ha rotto il silenzio. Prima il superbollo per le macchine potenti; poi la decisione della CSAI (la federazione sportiva automobilistica italiana) di imporre alle scuderie italiane l'impiego di carburante commerciale nelle auto da corsa in tutto il mondo, pena la squalifica e il ritiro della licenza. Una situazione insostenibile. “Una decisione senza senso” ha detto il presidente della Ferrari “presa da chi non sa niente di corse in auto e ancor meno di tecnica. Mi sembra” ha concluso Montezemolo “che ci sia dietro un mix di pregiudizio, di attacco alla libertà di impresa e di crassa ignoranza, che ci porrebbe – se la accettassimo – in condizione di non poter competere degnamente con le altre squadre di F1. Vuol dire che la Scuderia Ferrari se ne andrà in Svizzera o Austria, dove faranno i salti di gioia e ci faranno ponti d'oro”.
Tranquilli, né la Pellegrini, né la Ferrari se ne andranno (almeno per ora...) dall'Italia. Abbiamo voluto fare due esempi sul filo del paradosso (in grassetto e con un altro colore per distinguere l'iperbole dal ragionamento), per trattare il tema delle regole di un fisco esagerato che costituisce un freno per le imprese in competizione sul mercato nazionale, europeo e internazionale. Consideriamo il regime fiscale sull'automobile come indice di un sistema inefficiente, al limite dell'imbecille. Chiunque sia iscritto all'albo dei giornalisti sa che deve mantenersi in un quadro di continenza nei propri ragionamenti, nelle proprie analisi. Ma in questo caso, l'alternativa all'aggettivo “imbecille” sarebbe “criminale” o “criminogeno”. Preferiamo imbecille.
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Il tema è la competitività del sistema produttivo italiano. Le imprese in Italia, soprattutto le PMI, sono messe nelle condizioni di non nuocere ai loro competitor esteri, perché strette in una morsa fiscale utile solo a rimpinguare la spesa pubblica improduttiva, le clientele, le spese folli della politica, le inefficienze della burocrazia. E alimentare, attraverso la presenza dello Stato nell'economia, un fiume di corruzione inesauribile.
Le aziende italiane, con vari gradi, detraggono le spese di acquisto, gestione e manutenzione delle automobili in misura minore rispetto alle aziende dell'Unione Europea (mediamente il 40% e con un limite di circa 18mila euro). La Corte di Giustizia del Lussemburgo ha più volte intimato all'Italia di abbattere tutte le limitazioni e portare al 100% la detraibilità di questa importante voce di costo per le imprese, ma il legislatore nazionale ha fatto (e continua a fare) orecchie da mercante. Se fossero abbattuti i limiti e la detraibilità fosse portata al livello indicato dall'Europa, le ricadute positive sul settore sarebbero molte. Ma a nulla sono valsi gli inviti anche recenti dell'UNRAE (Unione Rappresentanti Auto Estere), per dare linfa (a costo zero) a un settore prossimo al collasso, con la conseguenza che le concessionarie automobilistiche saranno preda dei grandi gruppi commerciali stranieri. Da poco la Penske ha deciso di sbarcare in Italia per acquistare concessionarie di auto, forte dei 42 marchi rappresentati nel mondo, con oltre 16mila impiegati.
In più, il prezzo dei carburanti contiene più tasse che costo industriale. Paghiamo ancora una quota di accise per la Guerra di Etiopia del 1935, o per la crisi di Suez del 1956, malgrado l'obiettivo sia stato ampiamente raggiunto e superato. Conoscete altro termine per identificare questa pratica, che non sia “furto”? I grandi industriali, con impianti e società aventi sede in altri Paesi, fanno bene a utilizzare vetture immatricolate in loco, perché utilizzano strumenti legali per non farsi fregare i soldi dall'Italia. Sic et simpliciter. Le polemiche degli ultimi giorni contro Massimo Calearo sono perciò stucchevoli e alimentate in modo strumentale. E forse con un pizzico di invidia sociale, che nel Bel Paese non manca mai. Saremmo lieti di vivere in un paese dove circolassero più Porsche e Ferrari che utilitarie e auto di altri brand, perché significherebbe ricchezza diffusa e libertà individuale.
Insomma, le imprese italiane devono faticare e fare i salti mortali (forse anche attraverso il ricorso a una porzione di evasione fiscale) per reggere il passo dei concorrenti, come se la Pellegrini dovesse nuotare con un costume di cotone o la Ferrari usare benzina commerciale per fare andare le proprie monoposto di F1.
Il governo presieduto dal professor Monti ha aumentato il carico fiscale, con una manovra che egli stesso ha definito “rozza”, per impedire che l'Italia finisse nelle condizioni della Grecia. Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul “Corriere della Sera” hanno argomentato che le manovre di Monti finiranno per avere invece un effetto contrario a quello perseguito, deprimeranno ancor di più l'economia (La trappola delle tasse, Corriere della Sera, 31 Marzo 2012).
Ma Mario Monti & Compagni non vengono dalla Luna, sono espressione di una classe dirigente non adeguata alle sfide dei nostri tempi, perché sono ancorati -
Tanto la classe dirigente è inadeguata, che le prospettate riforme istituzionali e le modifiche dell'attuale legge elettorale farebbero fare all'Italia un pericoloso passo indietro. Il ritorno al proporzionale puro, con soglia di sbarramento e diritto di tribuna, aprirebbe il ritorno dei vecchi riti extra-
L'allarme lo lancia oggi Angelo Panebianco sulle colonne del “Corriere della Sera”, parlando di “partitocrazia senza partiti”. L'obiettivo di queste mummie politiche è di far rivivere un sistema che non può sopravvivere, perché il contesto internazionale è cambiato, non solo sotto il profilo geopolitico.
Secondo Panebianco, questi Zombie della politica italiana (definizione nostra) vogliono confezionare una “Repubblica dei notabili”, una specie di III Repubblica francese. Ma se avessero un minimo di conoscenza storica, saprebbero che la III Repubblica francese, e la IV, morirono per gli effetti della debolezza dei pilastri su cui erano state erette. Ci volle il colpo di mano del generale de Gaulle (e la situazione algerina) per imporre un presidenzialismo moderato, con possibile coabitazione, per fare della Francia un paese più stabile, ma non più leggero. Oggi la Francia paga qualche prezzo all'eccesso di Stato, ma su basi qualitative – è bene dirlo con chiarezza – neanche minimamente comparabili con le inefficienze italiche.
Panebianco conclude il suo condivisibile ragionamento con un'affermazione, sul panorama istituzionale prossimo venturo, quello di «una simil III Repubblica francese (ottocentesca) che soddisferà forse gli istinti manovrieri, e il gusto per gli intrighi parlamentari, di questo o quel leader, ma che non ci porterà da nessuna parte».
No, professor Panebianco, ci permetta di contraddirla. Questo ritorno indietro porterà l'Italia al disastro e al disfacimento, non solo economico. Romperà davvero l'unità del Paese, altro che le spinte secessioniste della Lega, finora articolatesi come le grida degli ambulanti al mercato finalizzate a ottenere il giusto obiettivo: la riorganizzazione federale dello Stato. Quell'unità nazionale fondata sulla menzogna, sulla corruzione, sull'inefficienza crollerà, si scioglierà come neve al sole. E la "colpa" sarà di Facebook e della rivoluzione informatica, che consente a tutti di fare paragoni tra il Medioevo (Italia e forse anche Europa) e il resto del mondo che viaggia al ritmo 3.0. Di questa Italia (e Europa), è bene metterlo in chiaro fin da ora, noi non faremo parte e la avverseremo in tutti i modi leciti. Prima di abbandonarla. E abbiamo il fondato sospetto che non saremo i soli.
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