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EDITORIALE
Elezioni Presidenziali, determinate dal voto di protesta
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Serve una Coalizione di Lungimiranti per il balzo federale europeo
Diamo una famiglia stabile e forte a un bimbo di 10 anni: l’Euro
di Vincenzo Scichilone
Articolo pubblicato il 7.05.2012 -
Che cosa direste se nella vostra famiglia, a fronte di un momento di difficoltà, qualcuno spendesse il denaro con incosciente noncuranza, mentre voi foste costretti a tirare la cinghia, a fare sacrifici e a risparmiare? Ogni discussione sulla crisi istituzionale e politica europea, ogni ragionamento sull’affanno dei debiti sovrani, ogni puntualizzazione sulle assurde regole di bilancio imposte dalla Cancelliera Angela Merkel al resto degli Stati d’Europa deve partire da dati oggettivi, dalla verità.
La base di partenza deve essere questa, perché altrimenti non diremmo la verità: in Italia e Grecia, in tragica simbiosi, il ceto politico ha squalificato lo Stato, ne ha mandato al macero le funzioni regolatorie, ne ha amplificato le funzioni invasive della vita privata e della libera iniziativa attraverso la leva fiscale e l’occupazione dei partiti di ogni meandro sociale. Pagare le tasse è un dovere giuridico e morale, perfino religioso, ma oltre un certo limite è un atto di protervia dello Stato organizzazione, che comprime le libertà individuali. Chi dice il contrario mente sapendo di mentire.
Che c’entra questo con le elezioni presidenziali francesi? C’entra, eccome. François Hollande ha vinto le elezioni in Francia, ma non ha trionfato. Sale sul trono repubblicano quale Settimo Presidente della V Repubblica con il piglio di chi ha in mano la verità (vizio della sinistra francese e italiana), ma in realtà incarna la protesta del ceto medio che si è nascosto dietro la spesa pubblica, in un modo o nell’altro, favorendo una staticità sociale ed economica che non regge le sfide del nostro tempo. Una protesta che ha fondamento, ma che in un oscuro funzionario di partito, socialista per reazione alla rigidità dell’educazione familiare, esprime idee vecchie e pericolose: tasse, tasse e ancora tasse. Il contrario di quel che si dovrebbe fare per rilanciare le possibilità di ripresa di una nazione, l’Europa, che non manca di niente e può tutto, se tutti stiamo uniti; che perderà tutto, se ciascuno si riterrà capace di fare a meno degli altri. Una tragica illusione.
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Gli emolumenti dei politici sono un falso problema
Nella Domenica Elettorale europea, accanto alla vittoria di misura della sinistra francese, s’odono a Oriente le urla pericolose dei neonazisti greci di Alba Dorata, vera spina nel fianco democratico di tutta Europa. Ma anche il moto popolare che si alza dalla Sardegna, un vero tsunami democratico: i referenda regionali volti all’abolizione delle province e alla riduzione dei consiglieri regionali saranno il primo passo della rivoluzione istituzionale prossima ventura, a furor di popolo, se non per scelta politica netta. Solo in Italia?
Questo è il punto. L’integrazione europea è in affanno perché si è smarrito il percorso, perché non si percepisce più la direzione che era chiara nelle menti dei Padri Fondatori alla fine del Secondo Dopoguerra. La Seconda Guerra dei Trent’Anni -
Fino alla caduta del Muro di Berlino, lo sviluppo di questo processo non è stato messo in discussione grazie al blocco geopolitico imposto dalla Guerra Fredda e al funzionamento del funzionalismo. Poi il processo si è arenato, anche perché il paradigma funzionalista doveva essere il passo intermedio verso l’approdo federale. Ma a questo porto sicuro della vita degli europei non si mai davvero arrivati, per mancanza di una classe dirigente all’altezza delle sfide: ne è drammatica testimonianza il mancato inserimento delle radici cristiane nella cosiddetta Costituzione Europea, un trattato internazionale che aggiunge solo principi e parole a norme e imposizioni.
Che fare? L’Europa unita e i popoli europei sono stretti in una morsa soffocante. Da un lato il “Piano Merkel” (e la folle costituzionalizzazione del pareggio di bilancio), una rigidità che la storia ci ripresenta con molte similitudini: fu il “Piano della Virginia” alla Convenzione di Filadelfia del 1787 e del ruolo odierno della burocrazia antidemocratica delle istituzioni Comunitarie. Dall’altra il “Piano del New Jersey” di chi vorrebbe oggi le istituzioni europee in un ruolo subordinato di finanziatore di spesa pubblica improduttiva, che non genera sviluppo ma solo pochi arricchimenti personali, e un antistorico passo indietro rivitalizzante degli Stati nazionali.
Urge, oggi come allora, un “Compromesso del Connecticut” che medi tra i due indirizzi e l’unico paradigma in grado di raggiungere un ragionevole, efficace e funzionante apparato istituzione è quello federale. Ma questo implica una rivoluzione continentale e l’unione indissolubile dei destini dei popoli e degli Stati in un’unica grande nazione.
Dalla Grecia, peraltro, arriva il monito della rinascita di sentimenti neo-
Occorre una nuova élite politica e culturale, che prenda per mano l’Europa e la porti ad un futuro unitario e federale. Occorre dare una famiglia forte e stabile a un bimbo di 10 anni, l’Euro. La Storia ha bisogno di menti aperte ma responsabili, non solo di rigidi guardiani del tesoro, né di profittatori. L’alternativa potrebbe essere non solo un tragico infanticidio monetario.